venerdì 10 ottobre 2008

Parte quindicesima

E' un balzo, lento, interminabile, come un'assolo jazz di Jeff Beck, come una nota blues di Seteve Ray Vaughan, mi sento sospeso nel vuoto. Sto scendendo dal treno o sto approdando sulla Luna? Le luci del mondo disegno un paesaggio accecante, quasi lunare, fuori dal tempo e dallo spazio, mi sembra di essere stato per tutta una vita in un tunnel infinito, pieno di ricordi che di tanto in tanto accendevano una soffusa candela tra riflessioni fuligginose. Lascio il passato alle spalle, questa luce è così inebriante, intrigante, perchè non seguirla, perchè soffermarsi, il salto ormai è fatto, mi ancoro a intuizioni e spunti fraterni attingendo a quella quella massima che dice che nella vita ci son passi che si fanno solo in avanti, questo è uno di quelli, e allora via! valige incamminiamoci.
Pian piano il bagliore intorno a me si attenua, la stazione di Bologna comincia a delineare le sue infinite strade, come canali olandesi, sembrano tutte accessibili, possibili, pronte ad essere percorse. Impossibile abbracciarle tutte, solo una è quella corretta, ma proibitivo è cimentarsi in una scelta senza chiedere l'aiuto esterno di un tabellone ferroviario. Spero quest'ultimo sia meno crudele e spietato di quello incontrato a Milano. Questa volta pare non ci siano vincoli di tempo, quell'esigenza di dover fuggire dalla nebbia al più presto si è dissolta sulla banchine del binario 16 e 21 e lungo le rotaie di un tragitto senza deviazioni. La fame comincia ad assalirmi in maniera prepotente e implacabile, ma son troppo curioso di sapere dove mi porterà questa volta il destino, non resisto, cerco da qualche parte la scritta Prato. Eccola, mi appare subito, binario 3, ore 14:45.
Tiro un bel sospiro di sollievo, direi che ho un sacco di tempo, posso permettermi un pò di tranquillità finalmente, per poi magari perdermi nei sottoscala di questa stazione che comincia già a rimanermi simpatica. Neanche il tempo di crogiolarmi in questo stato di pre-ozio che volgo lo sguardo accanto alla spia luminosa del tabellone che indica i treni in partenza.
A caratteri cubitali è impresso il numero 14:28. Maledizione! Provo a stropicciarmi gli occhi, forse ho letto male, magari la stanchezza mi ha portato a visualizzare numeri a caso, non so, a fare operazioni di addizione o moltiplicazione tra loro.
Sgrano le pupille, ma il risultato non cambia, non c'è tregua mi dico, ed anche le valige accanto a me sembrano essere vittime di un innaturale stato di sconforto, afflosciandosi tra i miei piedi. Come fare a vincere il tempo, impossibile! Ogni strategia è vana, che fare quindi, arrendersi? rinunciare all'opportunità di giungere prima del tempo al traguardo finale, abbandonarsi appesantendo la banchina bolognese del triste binario undici. Soluzioni certo comode, morbide, ma prive di contenuto, scariche di motivazioni, dettate da un traghettatore di idee che prepotentemente offre il suo remo.
L'alternativa è correre strenuamente lasciandosi guidare dalla foga di arrivare, fuggire sguardi, odori, colori. A prendermi per mano stavolta è una dolce mano infuocata, che vorresti stringere per poi seguirla dolcemente, ma il suo calore se da un lato infiamma e ravviva pensieri ed emozioni, dall'altro acceca un percorso che ho deciso di intraprendere con serenità e che sulla schiuma di quest'onda voglio mantenere.
Ebbene si! ci risiamo, c'è sentore di paralisi, miele per il tempo che inesorabile continua nel suo countdown. Raccolgo le forze, agguanto le valige, interiorizzo il tempo, provo a dettare il rintocco delle lancette, ho un giustificato motivo per andare avanti ed è quello di sentirmi vivo, di guidarmi, lasciando che le mani siano libere di stringere serenamente i secondi che passano.
Giangi.

Nella foto: anziani alla fermata del treno.