lunedì 18 febbraio 2008

Parte ottava

Milano mi sta lasciando, o forse sono io che sto mollando la presa? Bella domanda, che si traveste da dubbio amletico forse proprio per sfuggire all'angoscia di dover dare necessariamente una risposta. Alla fine però sarebbe utile cominciare ad annusare l'idea di abbandonare questo status di paralisi lasciare per un attimo la letteratura inglese alle spalle, e concentrarsi magari su qualcosa di più recente, più attuale, magari di un artista italiano, non necessariamente scritto su un libro rilegato in pelle umana, ma sulle pagine di un pentagramma accompagnato da quell' accordo che va schiantandosi contro gli scogli, per poi dolcemente riposarsi su una riva genovese.
Lambrate, Rogoredo, poi arriva quello che i bestemmiatori di questo secolo, me compreso, chiamano l'Hinterland milanese...notare bene la "H" davanti, non è uno dei soliti miei orrori di ortografia, ma un'altra bestialità a cui ormai oggi non facciamo neanche più caso. Pare infatti che globalizzare sia in assoluto sinonimo di progresso e pertanto debba coinvolgere anche la comunicazione tanto da giustificare una improbabile internazionalizzazione della lingua italiana ed adattarla così alle ragioni del tempo. Breve parentesi che si perde rapidamente dietro gli ultimi banchi di smog milanese; meglio tornare sul treno e cominciare a valutare l'idea di dare una sistemata a quelle valige ammassate una sull'altra, rivestite di un cappotto sgualcito e stanco che reclmano un minimo di attenzione. Questa volta non posso fare a meno di leggere la loro sofferenza e il loro abbandono, decido così di intervenire in loro soccorso, ma presto mi rendo conto che non sarà un compito così scontato.
Eh si, scegliere il posto di single alla ribalta lascia dietro di se l'impossibilità di dare una sistemazione comoda a tutto ciò che nelle ultime ore sta disperatamente cercando di rimanere a me aggrappato. Che fare? Potrei continuare il viaggio ugualmente, lasciar lì in preda del tempo e della polvere ogni cosa, fingere di non sentire lo sguardo della matriarca che puntando il dito verso di me tenta ancora una volta di istruirmi sul senso civico. In ogni caso credo che me la caverei adducendo scuse come quella di una inquantificabile ondata di stanchezza rimandando a tempi indefiniti una risoluzione logistica del problema.
Decido quindi voltare le spalle, infilo le cuffie nelle orecchie e chiudo gli occhi.
Qualcosa però non va, il brano che segue non riesco a riconoscerlo, le poltrone davanti sembrano così incredibilmente vicine tanto da non permettermi di allungare le gambe, mi rigiro più volte su me stesso alla ricerca di una posizione rilassante, tento di liberarmi dalle braccia della poltrona ma sono inchiodate, mi sento imprigionato. Avvicino a me le valige, provo ad usarle come alternativo strumento di appoggio ma, ovviamente, non sono collaborative ed al minnimo spostamento si lasciano disordinatemente cadere per terra. Cresce in me un senso di rabbia e frustrazione che certo non aiuta quella che all'inizio sembrava presentarsi come una rapida e banale soluzione ad un mero problema logistica e che invece si sta rivelando un intricato conflitto interiore.

Nell'immagine
: la giovinezza.

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