martedì 18 novembre 2008

Parte sedicesima

In quella che forse per la prima volta sembra non esser una fuga ho bisogno di una vera e propria dose di adrenalina, qualcosa che alimenti questo mio status di eccitazione e pienezza, che faccia da cornice e immortali per sempre il mio sguardo su cui lentamente vanno a imprimersi quelle accese pieghe di un egocentrismo sempre lasciato sottointeso nella penombra di qualche "forse" racchiuso nell leggero tremare delle palpebre.
Come un esperto radiofonico lancio il prossimo brano musicale, peccato solo non avere neanche un minuto per sceglierlo. Avrei passato ore e ore a fare avanti ed indietro fino a selezionare qualche pezzo metal anni novanta, magari dei vecchi e gloriosi Metallica, quando ancora Kirk Hammet si lanciava in assoli graffianti carichi di scale vertiginose che mi rapivano di meraviglia l'animo. Ricordo che sarei stato pronto a dare qualsiasi cosa pur di poter ripetere anche per pochi secondi quella nota impossibile, farla vibrare all'infinito. Ora come non mai riassaporo quell'emozione, quel brivido che nasce da una nota che taglia tutto ciò che mi si para davanti e che intralcia il mio cammino.
Aimè i Metllica hanno deciso di riposare ancora per un pò nell'archivio, ma a prendere la scena è quell'inconfondibile triplo rullo di cassa, secco, deciso, che fa da anteprima ad un ritmo incontrollabile a cui non si puo resistere.
E' una sequenza di note frenetiche, che balzellano tra un binario e l'altro e che si insinuano nelle vene, ammorbidendo muscoli e nervi ormai abbastanza provati dal viaggio.
E' il riecheggiare del mondo che fino ad ora ho tentato di disegnare e a cui sto dando ascolto, che pulsa, freme, che come un quadro di Kandinsky cerca di uscire fuori da una forma preconfezionata, offerta come la migliore delle soluzioni possibili.
E' un vortice di emozioni trascinate dall'incalzare incessante di accordi brillanti, che vanno ad intrecciarsi in modo indecifrabile sulle rive dell'Arno specchiandosi su colori primaverili in un inverno appena iniziato.
E' l'inno di chi sta per intraprendere una corsa contro il tempo, che non può e non vuole fermarsi davanti all'idea di poter respirare una vita qualsiasi, di chi non vuol essere scelto finchè non è in grado di scegliersi, di chi è forse troppo innnamorato di se stesso tanto da rimanenrne accecato, ma che custodisce gelosamente il ricordo di ogni lacrima versata....
It's the end of the world, forse quello che di cui i R.E.M parlano, forse quello che leggiamo sulle prime pagine dei giornali o quello raccontato nei notiziari televisivi, il mio mondo invece è giovanissimo, è nato su un binario e un giustificato motivo lo fa rimanere abbracciato ad esso.
Giangi

venerdì 10 ottobre 2008

Parte quindicesima

E' un balzo, lento, interminabile, come un'assolo jazz di Jeff Beck, come una nota blues di Seteve Ray Vaughan, mi sento sospeso nel vuoto. Sto scendendo dal treno o sto approdando sulla Luna? Le luci del mondo disegno un paesaggio accecante, quasi lunare, fuori dal tempo e dallo spazio, mi sembra di essere stato per tutta una vita in un tunnel infinito, pieno di ricordi che di tanto in tanto accendevano una soffusa candela tra riflessioni fuligginose. Lascio il passato alle spalle, questa luce è così inebriante, intrigante, perchè non seguirla, perchè soffermarsi, il salto ormai è fatto, mi ancoro a intuizioni e spunti fraterni attingendo a quella quella massima che dice che nella vita ci son passi che si fanno solo in avanti, questo è uno di quelli, e allora via! valige incamminiamoci.
Pian piano il bagliore intorno a me si attenua, la stazione di Bologna comincia a delineare le sue infinite strade, come canali olandesi, sembrano tutte accessibili, possibili, pronte ad essere percorse. Impossibile abbracciarle tutte, solo una è quella corretta, ma proibitivo è cimentarsi in una scelta senza chiedere l'aiuto esterno di un tabellone ferroviario. Spero quest'ultimo sia meno crudele e spietato di quello incontrato a Milano. Questa volta pare non ci siano vincoli di tempo, quell'esigenza di dover fuggire dalla nebbia al più presto si è dissolta sulla banchine del binario 16 e 21 e lungo le rotaie di un tragitto senza deviazioni. La fame comincia ad assalirmi in maniera prepotente e implacabile, ma son troppo curioso di sapere dove mi porterà questa volta il destino, non resisto, cerco da qualche parte la scritta Prato. Eccola, mi appare subito, binario 3, ore 14:45.
Tiro un bel sospiro di sollievo, direi che ho un sacco di tempo, posso permettermi un pò di tranquillità finalmente, per poi magari perdermi nei sottoscala di questa stazione che comincia già a rimanermi simpatica. Neanche il tempo di crogiolarmi in questo stato di pre-ozio che volgo lo sguardo accanto alla spia luminosa del tabellone che indica i treni in partenza.
A caratteri cubitali è impresso il numero 14:28. Maledizione! Provo a stropicciarmi gli occhi, forse ho letto male, magari la stanchezza mi ha portato a visualizzare numeri a caso, non so, a fare operazioni di addizione o moltiplicazione tra loro.
Sgrano le pupille, ma il risultato non cambia, non c'è tregua mi dico, ed anche le valige accanto a me sembrano essere vittime di un innaturale stato di sconforto, afflosciandosi tra i miei piedi. Come fare a vincere il tempo, impossibile! Ogni strategia è vana, che fare quindi, arrendersi? rinunciare all'opportunità di giungere prima del tempo al traguardo finale, abbandonarsi appesantendo la banchina bolognese del triste binario undici. Soluzioni certo comode, morbide, ma prive di contenuto, scariche di motivazioni, dettate da un traghettatore di idee che prepotentemente offre il suo remo.
L'alternativa è correre strenuamente lasciandosi guidare dalla foga di arrivare, fuggire sguardi, odori, colori. A prendermi per mano stavolta è una dolce mano infuocata, che vorresti stringere per poi seguirla dolcemente, ma il suo calore se da un lato infiamma e ravviva pensieri ed emozioni, dall'altro acceca un percorso che ho deciso di intraprendere con serenità e che sulla schiuma di quest'onda voglio mantenere.
Ebbene si! ci risiamo, c'è sentore di paralisi, miele per il tempo che inesorabile continua nel suo countdown. Raccolgo le forze, agguanto le valige, interiorizzo il tempo, provo a dettare il rintocco delle lancette, ho un giustificato motivo per andare avanti ed è quello di sentirmi vivo, di guidarmi, lasciando che le mani siano libere di stringere serenamente i secondi che passano.
Giangi.

Nella foto: anziani alla fermata del treno.

mercoledì 20 agosto 2008

Parte quattordicesima

Pochi metri, pochi secondi e ci siamo, paradossalmente sembrano essere i più duri. Il treno cincischia, borbotta e arranca tra uno scambio e l'altro degli innumerevoli binari che pettinano la ruggionosa chioma della stazione. Cerco di non perdere l'equilibrio e lascio che il mio corpo morbidamente segua il singhiozzare del treno. Ne domino il ritmo irregolare facendo perno ogni tanto sulle mie fidate valige, sfruttando il loro peso che mai come in questo momento sembra vestire i panni di un caro amico, pronto ad offrirti la sua mano. Così mi stringo a loro lasciando ogni tanto la presa per poi riavvicinarmici. Ne nasce un leggero movimento dipinto probabilmente in qualche affresco del Buonarroti e grattato via per un attimo dalla Cappella Sistina per essere impresso su un ICPlus che finalmente sta per riposarsi. Neanche il ferroso e stridente grido delle rotaie riesce a distrarmi, sono troppo concentrato su questa infinita danza che calamita il mio corpo con le valige. Intarvedo con la coda dell'occhio i passeggeri muoversi in maniera impacciata, disordinata, ostentando una falsa esperienza e sicurezza nell'autogestire il proprio corpo, volti in cui si delineano sorrisi forzati che ad ogni strattone del treno rivelano la loro natura goffa e pesante. Così mi insinuo tra i loro precari movimenti, sfrutto la scia che lascia il loro inconsistente precipitare, filtro armoniosamente con le mie valige in questo divertente disordine e mi porto in pole position davanti alla porta del treno pronto per salpare, pronto per comiciare un altro viaggio.
Bene, ma da che parte si scende? Ecco che il il caro e vecchio dubbio amletico fa breccia tra i miei pensieri. Mi dico, ma non potevi riposare per qualche minuto al bar bistot del treno ? Tanta strada, tanta disinvoltura nell'affrotare impervi tragitti e ora che sta per compiersi il gran finale sembra complicarsi tutto, subentrano incertezze paranoiche riflessioni che appesantiscono l'arrivo.Insieme al treno ho ormai superato ogni ostacolo, sto entrando liscio come l'olio fino al traguardo e non so da che parte posare la mano per afferrarlo Maledizione!, ci vuole una soluzione immediata, provo a dare uno scorcio da entrambi i lati del treno facendo capolino tra la muraglia di schiene che assalgono l'altra porta. Non posso spostarmi, rischierei di perdere il mio primato sulla porta desta, ma dall'altra parte la folla sembra crescere, come se ci fosse un arrivo,non so, più interessante del mio. Un minuto fa libero e armonico, ora tremante e paralizzato, qualcosa non va ,ci vuole della musica. Ecco le cuffie, speriamo di soffocare logiche di pensieri irrazionali con la sequenza di note soffuse. Ottimo!, in soccorso arriva Jimi, vedi di fare qualcosa! Little Wing, perfetto mi sento già meglio. Prendo coraggio dalla mia scelta e da qualche nota di uno degli assoli più replicati e riarrangiati sino ad oggi, mi stringo alle valige e do uno sguardo deciso al pubblico intorno a me, trasmettendo una baldanzosa sicurezza che sembra scrivere un nuovo finale di un interminabile romanzo il cui epilogo un istante prima pareva già essere delineato al primo capitolo. Dalla sinistra cominciano serpeggiare i primi "se", "ma" "forse", un bronzio che non fa altro che appagare la mia sete di colmare il vuoto creatosi all'affacciarsi del solito dubbio paralizzante. Intanto sull'mp3 arrivano i Blur con Tender, mi dico, è la svolta! Come on Come on!
Mi si stampa in volto un sorriso a 360°, alla fine non ho la minima idea di dove scenderò. Sarà proprio la mia porta ad aprirsi? chissa! Magari sarà qualcuno da fuori ad aprirla, magari invece aprirà l'altra
Tanti possibili finali, infinite trame di una ragnatela che fluttuano e brillano sospese in un prato notturno, sperdute, abbandonate a se stesse, non più avvolte da quella disperata esigenza di avere una direzione, ora a dirigerle è pronta un'orchestra di stelle.
Il maestro dà il la, il treno si ferma, è ora di scendere.

martedì 22 luglio 2008

Parte tredicesima

Intanto il treno continua ad andare sicuro sul suo inevitabile percorso, sicuro di approdare prima o poi alla prossima stazione, comunque vada taglierà il traguardo senza dar troppa importanza all'esito del suo piazzamento. Nessuna competizione lo assilla, niente sembra sfiorarlo, e così, quasi affascinato dal suo spietato individualismo, lascio da parte lugubrazioni confuse e fumose e volgo lo sguardo dietro di me verso il finestrino che ora mostra pasaggi meno monotoni. Si intravedono infatti le prime colline che non staccano brutalmente dalla pianura su cui per ore ho riposato lo sguardo, ma cercano di creare un'armonico compromesso di immagine e colore che non disturba o sorprende in maniera scioccante, ma dolcemente invita l'occhio ad apprezzarne le sfumature e i particolari.
Al diavolo il panino, son quasi arrivato a Bologna, prenderò qualcosa lì in stazione in quei distributori di massa parcheggiati sul binario, dove la scelta è servita in una confezione di plastica e per la quale non val certo la pena spendere più di 2 euro e più di 2 secondi. Mi rituffo allora nel corridoio del treno cercando di riprendere al più presto la mia postazione e sopratutto le mie valige che comincercanno ormai a chiedersi che fine abbia fatto. Inizio uno slalom tra valige, sguardi e parole, cercando ogni tanto di regalarmi qualche nota paesaggitica, cercando di cogliere come lo sfumare della pianura lasci spazio ai primi pendii. Finalmente giungo alla mia postazione, le valige son sempre lì, non si son mosse di un millimetro, mi presento disarmato, senza panini sbrodolanti pronti ad imbrattarle, mi siedo, è il momento di dare una base musicale a questo paesaggio,a questo primo traguardo che sto finalmente per ragiungre. Il primo pezzo che passa sull'MP3 direi che intona alla grande il momento, è il grande Jamiroquai con spend a lifetime, una delle canzoni che preferisco, una canzone di una delicatezza incredibile, sembra quasi disegnare una pianura che lentamente si lascia accarezzare da tondeggianti rilievi. Sono completamente assorto, estasiato dalla perfezione di immagine suono e colore.
Allla fine mi dico: avrò impiegato pure un'infinità per raggiungere Bologna, ma se al primo traguardo il regalo è questo, spero di di continuare il viaggio ancora a lungo!
Ecco che i pendii si fan più decisi, l'appennino decide che è il momento di entrare in scena, abbasso il finestrino, i profumi si fanno più intensi, freschi, giovani, decisi, sembrano aver preso in mano le redini di un gioco in cui le regole son dettate dal loro fondersi casuale. Il sapore è troppo forte, troppo inebriante, non riesco a rimanermene inerme, ancora una volta mi lascio contagiare dall'odore della vita e schiaffcciare il volto dal vento.
Eccoci, sono quasi arrivato, c'è una chiesa o una basilicà, non so, laggiù su una delle colline, chissà quale è il santo fortunato a cui è stata dedicata. Mi ricorda in un certo qual modo Mont Martre, come una dolce collina che, sprigionando un inspiegabile senso di serenita e rassicurazione, culla il continuo e infinito intermittio di luci e suoni della città lasciando che il loro frenetico spegnersi e riaccendersi vadono confondendosi e scomparendo tra le onde del vento e il il chiarore lunare.
Bologna, arrivo, ormai non mi scappi!
(continua...)

sabato 5 luglio 2008

Parte dodicesima

Sarà una coincidenza, sarà un gesto di rivalsa da parte del treno icplus milano-ancona, tanto snobbato e assecondato nei confronti dell'ambìto icplus milno-terni (quello ancora ancorato al binario 16),o magari sarà solo una banale probabilità statistica, sta di fatto che allo scemare delle mie riflessioni introspettive da shamano, il vagone ha una scossa ed il viaggio riprende.
Tutto ciò mi colpisce, mi sembra lontano il tempo in cui teorie, lugubrazioni, il continuo incaponirsi dietro concetti tanto profondi quanto contorti, mi rendevano inerme davanti al ciglio di un binario. Seppur vivo sia il ricordo di me che tentenno con fare impacciato e fragile davanti alla porta del treno, non avverto più il frastuono di quelle immagini, come se raffiche di vento portate dall'ormai incalzante incedere del treno avessero dato una ripulita e rinfrascata geneale ad una fornace che era prossima al'ebollizione.
Sulle ali di un entusiasmo da diciottenne al suo primo esame superato mi lancio a corpo morto sulla ritmica di Carols Santana e Steve Tyler dando vita ad un trio inedito verso Bologna, pronto a conquistare il premio per il miglior piazzamento tra gli apolidi pendolari milanesi in cerca di una patria che più gli somiglia.
Lascio così alle spalle Parma e Reggio Emilia, mi avvicino a Modena, ancora una quarantina di chilometri e poi è fatta!, con i grandissimi Creedence Clearwaters sembra davvero tutto in discesa. L'unica nota stonata è il mio stomaco, che con il suo borbottio sempre più inistente tenta di attirare la mia attenzione sul preoccupante moltiplicarsi di sostanze gastriche laceranti. E' ora di lasciare temporaneamente la postazione alla ricerca del famigerato tramezzino mozzarella e pomodoro. Scatto in piedi e senza far troppa attenzione a chi o cosa ho intorno mi involo verso altre carrozze, mi dico: alla fine dovrà pur esserci il vagone ristoro! Tre, quattro, cinque carrozze, poi intravedo il traguardo, mi fermo davanti al bancone, non rimane che scegliere. Grande assortimento!, proprio come dice ad ogni fermata del treno l'addetto al servizio bar bistrot, solo che l'annuncio è rivolto a personale standard in grado di assecondare le proprie esigenze di palato all'incedere della voragine gastrica o al mero tentativo di far trascorrere la lancetta dell'orologio, spostando l'attenzione anche se per pochi minuti su qualcosa che sia diverso dalla solita pagina enigmistica o dall'avanzata irrefrenabile della testa appisolata del "vicino di viaggio".
Il mio è invece un caso abbastanza disperato, specie se tra le innumerevoli portate non sembra esserci il tramezzino pomodoro e mozzarella. Ne inquadro subito uno che lo ricorda un pò per forma e contenuto, ci son poi panini di vari gusti già assaggiati in passato che erano riusciti a lenire il vuoto iniziale, senza però soddisfare mai completamente le attese.
Ancora una volta c'è da prendere un decisione, forse però è il caso di intraprendere per la prima volta in questo viaggio un percorso diverso dal solito, che sia il meno possibile socratico, e che investa il minor numero di componenti esterne che per natura determinano forti condizionamenti nelle scelte. Faccio allora ricorso a preistoriche nozioni da metafisico-economista, assumendo le aspettative come una componente cui è impossibile prescindere tentando così di utilizzarle come principio cardine del processo decisionale.
Quindi,... l'analisi si potrebbe strutturare in questo modo: quello che sto cercando è un tramezzino pomodoro e mozzrella, davanti ho un panino tonno e pomodoro, un tramezzino cotto e fontina e un panino mozzarella e formaggio. Ci sono punti di convergenza?Non so, magari parziali, magari potrebbero nascondere sapori inattesi, d'altro canto potrebbero scontrarsi con quella che inizialmente è stata palesata come una esigenza imprescindibile che vuol far valere il suo peso.
Eccomi lì davanti al bancone mentre mi arrovello ancora una volta dietro contorte supposizioni, in attesa che si materializzi una sorta di risposta che sa di compromesso tra il fare e il non fare, tra il dire e il tacere, tra il volere e il condannare, tra il credere e il negare, tra il potere e il desistere. Rendere trasparenti le aspettative sembra essere un buon inizio, manca ancora un pò di maturità, consapevolezza, responsabilità,... che si nascondano dietro il giustificato motivo per...?

venerdì 6 giugno 2008

Parte undicesima

Ancora fermo, proprio quando sembrava che si fosse tracciato un percorso chiaro. Forse è stato un peccato di ingenuità, chissà, ma qualcosa mi dice che ancora una volta le aspettative hanno corroso l'idea di aver ascoltato una nota delicata o magari di aver iniziato a dipingere un quadro con colori indelebili, idea che probabilmente doveva essere lasciata alle braccia del vento senza fingere di proteggerla con i "se" per poi anestetizzarla con i "forse"
Che sia allora! Rimane comunque il fatto che il treno è fermo sulle sue posizioni e non accenna ad avanzare. Cerco con lo sguardo di captare segnali, impressioni, soluzioni dalle persone nello scompartimento, ma paiono smarriti, increduli e pian piano si cominciano a ben delineare nei loro volti sfumature di incazztura indomabile. Meglio continuare a sentire musica e lasciare che la logica e la razionalità, che ogni tanto tornano a bussaare nella mia mente, prendano il sopravvento. Ringrazio a tal proposito Mr. Bon jovi, non quello degli ultimi 10-15 anni, ma quello giovane che oltre a fare il figo sul palco componeva melodie apprezzabili come quella di "these days".
Il treno si anima, comincia un via vai di gente che smanaccia, si agita, si siede, poi si rialza, per poi risedersi sempre più esasperata. La situazione mi diverte, decido allora di seguire per un pò questa ondata delirante di gestualità e mi affaccio dalla mia postazione, do quindi un'occhiata alle valige e fingo di trovar loro una più comoda sistemazione, così, tanto per legittimarne il mio possesso. Sospendo per un attimo il mio personalissimo viaggio nella musica e intraprendo l'itenerario del pendolare muovendomi verso altri vagoni alla ricerca del capotreno. Ovviamente il mio iter dura un paio di carrozze, figuriamoci se sacrifico del tempo alla musica per avere notizie su quella che decido di sentenziare come una tipica sosta di scambio tra treni in ritardo.
Mentre torno al mio posto incrocio lo sguardo con un gruppo di giovani viaggiatori che come me sembrano non soffrire più di tanto questo immobilismo, ma che a differenza di me sembrano avere risposte meno presuntuose sul perchè di questa sosta tra i campi emiliani. Beh col senno di poi sarebbe forse stato meglio non venire a conoscenza dei motivi di tanto attendere, in breve, pare che i "no global" avessero organizzato un'intelligentissima maifestazione nei pressi di bologna paralizzando il traffico ferroviario. La mio egocentrismo e smania di protagonismo mista ad una certa sensazione da perseguitato politico mi portano a chiedere se stiano cercando proprio me, ma torno subito tra i comuni mortali ed alla mia postazione, do un pacca alle valige in segno di rassegnazione e riprendo a respirare musica.
Alla fine tra me e me mi dico: dovrà ripartire no? non importa quale sia il binario su cui continuare, non val la pena spendere tempo a chiedersi se o quando ripartire, basta avere un giustificato motivo per farlo.

venerdì 9 maggio 2008

Parte decima

Il viaggio continua, il treno sembra correre come non mai, come se anche lui si sentisse in ritardo, come se dovesse irrimediabilmente rimediare al passato, dimostrare ancora una volta a se stesso che c'è, che è vivo, che il tempo non è una variabile poi così insormontabile. Via veloce allora, tagliando il vento a metà, sicuro per la sua strada a testa bassa, concentrandosi solo su quelle due linee lunghe e dritte, tentando ogni volta di raggiungerle e afferrarle, aggrappato all'idea di poter alla fine terminare con loro il viaggio. La pianura scorre via indifferente, non lascia segni indelebili se non un pò di polvere che va accumulandosi sul finestrino dove io e le mie valige esausti proviamo prendere un pò di fiato. Direi che è giunto il momento dell' MP3, ho ancora metà batteria a disposizione che ritengo più che sufficiente per arrivare senza essere disturbato verso la meta...già la meta, Prato se non sbaglio...devo solo ricordarmi di cambiare a Bologna.
Da un lato l'idea di procrastinare ancora il mio ritono mi affascina, sento di appartenere a uno status di apolide, fuori dal tempo e dallo spazio, che seppur costretto inevitabilmente ad attenersi a quelle due o tre regole del vivere sociale, rifiuta l'idea di doversi sentire imbrigliato nella consuetudine. D'altra parte prende coraggio l'idea di fermarsi, di doversi dare uno scopo, un obbiettivo, o magari di farsi solo un paio di domande senza attendere che le risposte siano dettate dal prossimo brano che passa in cuffia. Certo che l'atmosfera generata da Creep dei Radiohead non suggerisce una facile archiviazione del problema (o meglio pippa mentale) specie se poi la intrecciamo con i colori di un paesaggio che scorre veloce senza alcuna sfumatura di rilievo.
Cerco allora di prendere in mano la situazione , ancora non so bene come, intanto qui c'è bisogno di un pò d'aria, mi alzo e abbasso il finesrino, lascio che il vento dia una ripulita generale a pensieri come al solito disordinati, rimescolando le carte, creando i presupposti per ricominciare a giocare all'idea di vivere. Sgrano gli occhi, voglio vederci chiaro, la polvere che si era accumulata sul vetro mi impediva di cogliere dettagli di un paesaggio apparentemente monotono. Sono colori nuovi, giovani, forse immaturi, forse inconsapevoli che vanno mischiandosi con profumi garbati e innocenti. All'incedere del treno cresce la mia capacità nel cogliere ogni minima sensazione e variazione di tonalità, mi sento in sintonia con quel paesaggio che sospinto dal vento, mi accarezza il volto, come a volermi rassicurare, alleggerendo la mente da pesanti incarichi morali, scacciando paure recondite. Mi vien da sorridere, mi sento sereno ed anche le valige sembra abbiano gradito la rinfrescata. Superiamo alla grande la stazione di Piacenza, rimango in piedi come se da spettatore stessi ammirando l'ultimo giro di pista del maratoneta di quel ragazzo segnato dalla stanchezza ma che ancora lotta con se stesso nella strenua ricerca di un giustificato motivo per non mollare tutto. Il traguardo è lì, è fatta, ma lui rallenta, il treno rallenta.
Forse è troppo elastica la linea del traguardo, rischierebbe scontrandosi di tornare al punto di partenza; o forse è così sottile che due occhi appesantiti finirebbero per non accorgersi di averla già superata continuando così a correre su un tragitto senza fine. Provo a incitarlo ma la mia voce non fa eco tra "gli innumerevoli forse" che gremiscono gli spalti vuoti, la corsa si trasfroma in una blanda camminata, il treno si ferma.

mercoledì 16 aprile 2008

Parte nona

Mi chiedo se alla fine ci potrà mai essere un vincitore.
Ho sempre pensato di poter alla fine riuscire a trovare un compromesso, di pensare che non esistanon solo tonalità di chiaro-scuro perchè è così maledettamente comodo e ipnotizzante quel grigio che con le sue infinite sfumature non può che ricordare sapori e odori del passato quelli a cui son stato sono e rimarò sempre legato. Eppure la controversia con le valige mi pone davanti un quesito dal risultato tutt'altro che scontato, ovvero quello di essere stato onestamente in grado di cercare un compromesso, un giustificato motivo per rinunciare a qualcosa di me in nome di qualcosa che non si intonasse con i mie soliti accordi distorti, che rivendicava il diritto ad un pò attenzione, ad un ruolo non marginale di pura comparsa e che magari cercava titanicamente solo di rendere armonico quell'intreccio confuso di note che freddamente invece disegnavano un'assolo infinito.
Loro son là, immobili, stanche, non han vissuto niente di meno di quel che hai trascorso tu in questo viaggio, ti sono state sempre accanto, non ti hanno tradito, tu le hai sempre tenute a portata di mano controllandole, assicurandoti che non ti scappassero di mano, ed ora, proprio alla fine, il solo pensare che ci possano essere diventa un peso insostenibile. Ogni chilo che gravava sulle spalle converge ora sulla mia mente schiacciandone ogni ricordo, ogni passo fatto insieme, ogni sosta, ogni complice segno di intesa. Come in una spietata sentenza, brutalmente vengono chiamati a testimoniare note sconosciute, colori abbaglianti, il tutto per creare quella drammatica frattura entro cui far scivolare il più in fretta possibile ogni possibile intreccio o tentativo di conciliazione.
Eccomi dunque, giudice non togato, pronto a dare un epilogo ad una sentenza probabilmente già scritta: mi rivolgo a voi due, cose avete da dire in vostra difesa?
Silenzio...prego le valige di dichiararsi
Silenzio...forse non avete sentito, che giustificazione potete addure per vostro conto?
Silenzio...spigatemi allora il perchè del vostro tacere, cosa vi porta a non lottare.
Lentamente il mio fare giustizionalista si sgretola di fronte al perpetuare del silenzio scandagliato solo dal ritmico rumore delle rotaie che inesorabilmente dettano il passare del tempo.
Vi prego aiutatemi ad emettere un verdetto, suggeritemi una risposta!
Silenzio...
Mi avvicino a loro, le prendo, mi siedo in una postazione da due, le poso accanto a me, Che sia chiaro! ogniuno comunque per la sua strada, ma mi strappano un sorriso.

lunedì 18 febbraio 2008

Parte ottava

Milano mi sta lasciando, o forse sono io che sto mollando la presa? Bella domanda, che si traveste da dubbio amletico forse proprio per sfuggire all'angoscia di dover dare necessariamente una risposta. Alla fine però sarebbe utile cominciare ad annusare l'idea di abbandonare questo status di paralisi lasciare per un attimo la letteratura inglese alle spalle, e concentrarsi magari su qualcosa di più recente, più attuale, magari di un artista italiano, non necessariamente scritto su un libro rilegato in pelle umana, ma sulle pagine di un pentagramma accompagnato da quell' accordo che va schiantandosi contro gli scogli, per poi dolcemente riposarsi su una riva genovese.
Lambrate, Rogoredo, poi arriva quello che i bestemmiatori di questo secolo, me compreso, chiamano l'Hinterland milanese...notare bene la "H" davanti, non è uno dei soliti miei orrori di ortografia, ma un'altra bestialità a cui ormai oggi non facciamo neanche più caso. Pare infatti che globalizzare sia in assoluto sinonimo di progresso e pertanto debba coinvolgere anche la comunicazione tanto da giustificare una improbabile internazionalizzazione della lingua italiana ed adattarla così alle ragioni del tempo. Breve parentesi che si perde rapidamente dietro gli ultimi banchi di smog milanese; meglio tornare sul treno e cominciare a valutare l'idea di dare una sistemata a quelle valige ammassate una sull'altra, rivestite di un cappotto sgualcito e stanco che reclmano un minimo di attenzione. Questa volta non posso fare a meno di leggere la loro sofferenza e il loro abbandono, decido così di intervenire in loro soccorso, ma presto mi rendo conto che non sarà un compito così scontato.
Eh si, scegliere il posto di single alla ribalta lascia dietro di se l'impossibilità di dare una sistemazione comoda a tutto ciò che nelle ultime ore sta disperatamente cercando di rimanere a me aggrappato. Che fare? Potrei continuare il viaggio ugualmente, lasciar lì in preda del tempo e della polvere ogni cosa, fingere di non sentire lo sguardo della matriarca che puntando il dito verso di me tenta ancora una volta di istruirmi sul senso civico. In ogni caso credo che me la caverei adducendo scuse come quella di una inquantificabile ondata di stanchezza rimandando a tempi indefiniti una risoluzione logistica del problema.
Decido quindi voltare le spalle, infilo le cuffie nelle orecchie e chiudo gli occhi.
Qualcosa però non va, il brano che segue non riesco a riconoscerlo, le poltrone davanti sembrano così incredibilmente vicine tanto da non permettermi di allungare le gambe, mi rigiro più volte su me stesso alla ricerca di una posizione rilassante, tento di liberarmi dalle braccia della poltrona ma sono inchiodate, mi sento imprigionato. Avvicino a me le valige, provo ad usarle come alternativo strumento di appoggio ma, ovviamente, non sono collaborative ed al minnimo spostamento si lasciano disordinatemente cadere per terra. Cresce in me un senso di rabbia e frustrazione che certo non aiuta quella che all'inizio sembrava presentarsi come una rapida e banale soluzione ad un mero problema logistica e che invece si sta rivelando un intricato conflitto interiore.

Nell'immagine
: la giovinezza.

lunedì 28 gennaio 2008

Parte settima

Ansimo, fremo, cerco di prendere fiato, sono provato, porto ancora i segni della fuga, l'attesa stenuante di un inizio, il silenzio delle rotaie, il frastuono del mondo, il timore di aver abbandonato l'idea che potesse funzionare che potesse aprire le sue porte, l'illusione che mi facesse salire, che mi desse un'opportunità, una anche minima speranza di mostrare il mio volto. Che dire, è andata così, o meglio, non è proprio andata, ed ora che sono su questo IC Plus tutto da scoprire non sono più avvolto da quella frenesia e ansia di volermene appropriare, mi sento svotato, privo di interesse, di attenzione, non ho la forza di renderlo anche solo un amico o un compagnio di viaggio con cui condividere qualcosa. Troppo prezioso è quello che ho lasciato sul binario 16, cosa vuoi che possa fare il binario 8, anche i numeri parlano. Beh non posso neanche rimanere qui fermo impalato tra un vagone e l'altro, un'altra volta c'è da fare una scelta: destra o sinistra? Beh non sto certo a farmi troppe menate, quelle vengono se si è nello stato d'animo giusto, quindi seguo le indicazioni di una maglietta vista un giorno in una delle tante vetrine poco valorizzate in uno degli infiniti viali del consumismo milanese che diceva pressappoco così: anche il cuore batte a sinistra. Detto fatto entro nello scompartimento. E' ancora vuoto, la fiumana di gente che transita dal sedici all'otto ancora non è arrivata, chissà cosa staranno domandandosi, ed il tempo stringe, speriamo rimangano a terra, avrò più spazio per far riposare il mio sedere, le mie valige e il mio cervello. Davanti a me si presentano infinte soluzioni alcune delle quali vengono subito cassate: certo non ho intenzione di fermarmi dove già sono svaccate altre persone, in fondo sono timido e nei rapporti interpersonali vado forte solo dopo che altri abbiano manifestato un qualche interesse per me. Qunidi la scelta è tra un postazione per quattro una per due ed un posto singolo. Beh dopo tutto quello che ho vissuto fino ad ora ovviamente mi fermo sulla postazione single alla ribalta. E' quasi possibile leggere l'insegna luminosa che si accende sopra lo schienale e che dice, pregasi tenersi alla larga, oppure: io non posso entrare. Finalmente qualcosa di mio, che non può essermi portato via, su cui posso fare un minimo di affidamento, che posso tenere sotto controllo, di cui posso fidarmi che non possa accorgersi nient'altro che di me. Poso vicino a me le valige, riagguanto l'mp3, ancora uno sguardo fuori, al sedici tutto è ancora fermo, incollo la fronte al vetro per vedere se ancora ci fosse un giustificato motivo per mollare tutto, raccogliere i cocci e tornare indietro, lo cerco, lo chiamo, ma a rispondere è un fischio assordante che decapita il tempo.
Nell'immagine: anche Mastella si è appassionato alla vicenda.

lunedì 7 gennaio 2008

Parte sesta

D'un tratto sul binario la gente inferve al solo pronunciare della parola No Global, ecco che iniziano gli schiamazzi, i commenti, le ingiurie, gli sguardi infelici, che ricoprono di fango quello che invece timidamente voleva essere un momento delicato, sincero, in cui forse per la prima volta ero riuscito ad indossare pensieri ed emozioni non infeltriti. Così un'altra volta il capo si lascia cadere lentmente verso il basso come se il vuoto creatosi nel mio cuore pesasse come un'incudine sulla mia mente. Inutile star lì a cercare parole nuove a inventarsi soluzioni agrodolci, devo rassegnarmi, cercare un altro attimo, un'altra rosa da cogliere, ma sopratutto un altro cavolo di treno!
Bene, dove vado? Direi che sono alquanto disorientato, in primis da me stesso e dal mio continuo peregrinare nelle deserte ragnatele dell'anima, poi da sti diavolo di ipocriti borghesotti milanesi, per non parlare poi della falsa ala dei "senza se e senza ma", la scrematura del mazzo italiano, un mazzo direi bello che appassito. La soluzione però è a portata di mano: cuffie, mp3 e via con la musica, con quel suono un pò country dipinto dall'immortale Bruce Springsteen, che ti trascina via con delicata scioltezza zigzagando tra i nervosi soprabiti che ormai da ore albergano lungo il binario 21. Butto un occhio al tabellone per cercare soluzioni concrete per quello che invece di un semplice viaggio sta diventando un'impresa,
Eccola là la risposta, si chiama Ancona, IC in partenza tra 5 minuti dal binario 8. Nelle ferrmate intermedie risplende il nome di Bologna, è lì che mi fermerò, sperando di trovare una qalche coincidenza. Riprendo morale, in pochi secondi raggiungo il treno, stavolta sembra essere tutto tranquillo, salgo!

Nell'immagine: Lenin primo vero no-global. Da Kelebek