venerdì 9 maggio 2008

Parte decima

Il viaggio continua, il treno sembra correre come non mai, come se anche lui si sentisse in ritardo, come se dovesse irrimediabilmente rimediare al passato, dimostrare ancora una volta a se stesso che c'è, che è vivo, che il tempo non è una variabile poi così insormontabile. Via veloce allora, tagliando il vento a metà, sicuro per la sua strada a testa bassa, concentrandosi solo su quelle due linee lunghe e dritte, tentando ogni volta di raggiungerle e afferrarle, aggrappato all'idea di poter alla fine terminare con loro il viaggio. La pianura scorre via indifferente, non lascia segni indelebili se non un pò di polvere che va accumulandosi sul finestrino dove io e le mie valige esausti proviamo prendere un pò di fiato. Direi che è giunto il momento dell' MP3, ho ancora metà batteria a disposizione che ritengo più che sufficiente per arrivare senza essere disturbato verso la meta...già la meta, Prato se non sbaglio...devo solo ricordarmi di cambiare a Bologna.
Da un lato l'idea di procrastinare ancora il mio ritono mi affascina, sento di appartenere a uno status di apolide, fuori dal tempo e dallo spazio, che seppur costretto inevitabilmente ad attenersi a quelle due o tre regole del vivere sociale, rifiuta l'idea di doversi sentire imbrigliato nella consuetudine. D'altra parte prende coraggio l'idea di fermarsi, di doversi dare uno scopo, un obbiettivo, o magari di farsi solo un paio di domande senza attendere che le risposte siano dettate dal prossimo brano che passa in cuffia. Certo che l'atmosfera generata da Creep dei Radiohead non suggerisce una facile archiviazione del problema (o meglio pippa mentale) specie se poi la intrecciamo con i colori di un paesaggio che scorre veloce senza alcuna sfumatura di rilievo.
Cerco allora di prendere in mano la situazione , ancora non so bene come, intanto qui c'è bisogno di un pò d'aria, mi alzo e abbasso il finesrino, lascio che il vento dia una ripulita generale a pensieri come al solito disordinati, rimescolando le carte, creando i presupposti per ricominciare a giocare all'idea di vivere. Sgrano gli occhi, voglio vederci chiaro, la polvere che si era accumulata sul vetro mi impediva di cogliere dettagli di un paesaggio apparentemente monotono. Sono colori nuovi, giovani, forse immaturi, forse inconsapevoli che vanno mischiandosi con profumi garbati e innocenti. All'incedere del treno cresce la mia capacità nel cogliere ogni minima sensazione e variazione di tonalità, mi sento in sintonia con quel paesaggio che sospinto dal vento, mi accarezza il volto, come a volermi rassicurare, alleggerendo la mente da pesanti incarichi morali, scacciando paure recondite. Mi vien da sorridere, mi sento sereno ed anche le valige sembra abbiano gradito la rinfrescata. Superiamo alla grande la stazione di Piacenza, rimango in piedi come se da spettatore stessi ammirando l'ultimo giro di pista del maratoneta di quel ragazzo segnato dalla stanchezza ma che ancora lotta con se stesso nella strenua ricerca di un giustificato motivo per non mollare tutto. Il traguardo è lì, è fatta, ma lui rallenta, il treno rallenta.
Forse è troppo elastica la linea del traguardo, rischierebbe scontrandosi di tornare al punto di partenza; o forse è così sottile che due occhi appesantiti finirebbero per non accorgersi di averla già superata continuando così a correre su un tragitto senza fine. Provo a incitarlo ma la mia voce non fa eco tra "gli innumerevoli forse" che gremiscono gli spalti vuoti, la corsa si trasfroma in una blanda camminata, il treno si ferma.

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