La magia del silenzio scandita dalle note di Leonard Cohen vengono ben presto interrotte dai borbottii rauchi dei viaggiatori.
Cosa avranno da lamentarsi! alla fine se avessero vissuto le stesse peripezie che ho affrontato in queste ultime cinque ore, credo avrebbero comiciato a manifestare segni certi di squilibrio e delirio. La fortuna è quindi di non assistere a scene patetiche da viaggi della speranza con bimbi in preda ad isterie devastanti, madri alla ricerca del pannolino salva gonna e padri furiosi spazientiti che cominciano a fumare una sigaretta dietro l'altra guardandoti in cagnesco cercando il tuo sguardo per avere il pretesto di accusarti di non farti abbastanza i cazzi tuoi.
Così fingo indifferenza e stupore e continuo ad ascoltare musica tra una partita a solitario e una free cell sul pc, schivando sguardi e confidando di sfuggire a quella domanda esistenziale che come temuto quella signora sulla quarantina con gli occhiali e con la bambina frignante avvinghiata al suo collo mi pone attendendosi una spiegazione scientificamente ineccepibile.
Scusi, ma che succede? Perchè siamo fermi?
Beh signora, il problema è che siamo ormai fermi da decenni e lei non se ne è ancora accorta. Non vorrei scoraggiarla ma drovremmo essere forse noi a cominciare a muoverci, a far sentire al mondo che esistiamo e non per mangiare cagare e andare a dormire. Si affacci, le sembra che siamo fermi? a me sembra che il mondo respiri ancora, si tocchi il polso e cominci a contare il tempo che sta perdendo in questo momento ponendomi questa domanda idiota!
Questo è quello che le avrei voluto rispondere.
Ovviamente è più opportuno tentare di rassicurare le sue speranze offrendole una finta parola amica e di conforto giusto per non averla tra i piedi per più di dieci secondi, liquidare la pratica con un "è tutto sotto controllo, mi è capitato proprio ieri la stessa cosa e nel men che non si dica siamo ripartiti più veloci di prima". Ah che bello! La fai contenta, la bimba smette tempestare l'aria con le sue urla indemoniate, gli uomini spengono le sigarette e siamo tutti più contenti di vivere in un mondo prendendoci per il culo dalla mattina alla sera, raccontandoci che va tutto bene che tutto si risolve da solo perchè questa è la legge del mercato, dell'economia, è la teoria della mano invisibile, talmente invisibile che riesci a sentirla solo quando un bel giorno senti pruderti il sedere.
Neanche questa è una risposta che riesco a dare. Se da una parte non sono un movimentatore di masse popolari capace di far affiorare una coscienza sociale e politica, dall'altra far finta di nulla mi rattrista, vedere pian piano il cittadino rincoglionirsi dietro una comunicazione contaminata e indirizzata verso l'atrofismo intellettuale e mortificante.
AL momento l'unica cosa che posso fare e rivolgere verso me stesso tutta l'attezione possibile cercando di condividere con mi sta accanto l'esigenza di crearsi una dimensione parallela, fatta di persone, di idee, di confronti, di vita.
SIgnora, onestamente, sono dalle undici in viaggio, posso solo dirle che stiamo viaggiando al contrario!
sabato 5 dicembre 2009
martedì 22 settembre 2009
Parte ventunesima
Immobile, impietrito, non una lacrima, non un goccia di sudore sfiorano il mio volto, forse per il fatto che non mi accompagna un totale senso di stupore, come se in un certo senso rifiutassi solo l'idea che sarebbe potuto succedere di nuovo. Probabilmente con tutto questo ripartire e rifermarsi la forma mentis di statistico ha fatto si che annoverassi un'altra sosta tra le variabili residue, che va da se a mescolarsi con una naturale propensione a tenere tutto sotto controllo.
L'idea di rimanere spiazzato mi ha sempre affascinato ma nello stesso tempo spaventato. Parte da qui l'esigenza di non dare mai niente per sicuro, di non lasciarsi mai andare ad una scelta che sappia di volo pindalico, ma di mettere sotto esame persone, sentimenti e situazioni, di cercare strenuamente una chiave di lettura che mi permetta di assumere una posizione il più equilibrata possibile, che mi aiuti ad entrare sempre in sintonia con l'esterno, che mi renda visibile ed allo stesso tempo inosservabile.
Lo scettico blu, così mi chiama mia madre, e direi che non esista un immagine e assonanza di parole migliore per descrivermi. Se potessi raffigurarla sarebbe una di quelle figure impossibili di Escher dove gli elementi si accavallano in modo tale che l'occhio non riesca a distinguere l' elemento primo, quello dominmante che detta le regole del gioco.
Scelgo, (o forse non scelgo) di lasciarmi travolgere da questa nuova fermata; mi rimane solo un pò di amaro in bocca per dover ancora di più tardare il mio rientro a Prato.
Concerntro le mie energie, quell rimaste, sul mio mp3, sembra davvero avermi abbandonato, alla fine è arrivato il suo tempo, si vede che non era fatto per rimanere con me in questo viaggio. Un pò tutto ciò mi rattrista, non posso che ringraziarlo per avermi concesso dei momenti di grande introspezione musicale, affacciato davanti al finestrino del treno o lungo le rotaie di un binario. Peccato!
Fortuna che c'è il Pc!
Bhe meno agevole, ma non per questo meno presente nel viaggio, e di sicuro con una storia da raccontare più antica rispetto a quella dell' mp3.
Inizia tutto quando mi sono trasferito nei pressi delle Colonne di San Lorenzo, anche il quel caso il nostro incontro è nato in virtù di un abbandono, quella volta si trattava di un portatile e più che di un abbandono è stato un vero e proprio sequestro, dato che dei ladruncoli, entrando in casa mia una sera d'estate, han deciso bene di portarselo via insieme al mo costume preferito.
Non perdo tempo, lo accendo, giusto qualche minuto e sul desktop appare l'immagine di un vagone vuoto del treno, un'immagine direi più che familiare.
Mi sento già meglio!
In alto la cartella musica.
Ci vuole una canzone che dia un degno funerale all'mp3 e che dia nuova linfa al susseguirsi di una nuova e casuale compilation musicale. L'occhio cade subito su Halleluja di Leonard Cohen. Non esisite credo brano migliore per questo momento, dolce, intenso, sui suoi accordi sembrano cullarsi i ricordi di un viaggio, di un passato così vicino. Un brano che fa il vuoto intorno a se che non ammette intrusioni, dove l'accordo lascia presto spazio al vibrato gentile di una chitarra elettrica che lentamente si trasforma in un violoncello che detta l'ultima nota e che interminabile si lascia sfumare delicatamente nel silenzio chiudendo il sipario.
L'idea di rimanere spiazzato mi ha sempre affascinato ma nello stesso tempo spaventato. Parte da qui l'esigenza di non dare mai niente per sicuro, di non lasciarsi mai andare ad una scelta che sappia di volo pindalico, ma di mettere sotto esame persone, sentimenti e situazioni, di cercare strenuamente una chiave di lettura che mi permetta di assumere una posizione il più equilibrata possibile, che mi aiuti ad entrare sempre in sintonia con l'esterno, che mi renda visibile ed allo stesso tempo inosservabile.
Lo scettico blu, così mi chiama mia madre, e direi che non esista un immagine e assonanza di parole migliore per descrivermi. Se potessi raffigurarla sarebbe una di quelle figure impossibili di Escher dove gli elementi si accavallano in modo tale che l'occhio non riesca a distinguere l' elemento primo, quello dominmante che detta le regole del gioco.
Scelgo, (o forse non scelgo) di lasciarmi travolgere da questa nuova fermata; mi rimane solo un pò di amaro in bocca per dover ancora di più tardare il mio rientro a Prato.
Concerntro le mie energie, quell rimaste, sul mio mp3, sembra davvero avermi abbandonato, alla fine è arrivato il suo tempo, si vede che non era fatto per rimanere con me in questo viaggio. Un pò tutto ciò mi rattrista, non posso che ringraziarlo per avermi concesso dei momenti di grande introspezione musicale, affacciato davanti al finestrino del treno o lungo le rotaie di un binario. Peccato!
Fortuna che c'è il Pc!
Bhe meno agevole, ma non per questo meno presente nel viaggio, e di sicuro con una storia da raccontare più antica rispetto a quella dell' mp3.
Inizia tutto quando mi sono trasferito nei pressi delle Colonne di San Lorenzo, anche il quel caso il nostro incontro è nato in virtù di un abbandono, quella volta si trattava di un portatile e più che di un abbandono è stato un vero e proprio sequestro, dato che dei ladruncoli, entrando in casa mia una sera d'estate, han deciso bene di portarselo via insieme al mo costume preferito.
Non perdo tempo, lo accendo, giusto qualche minuto e sul desktop appare l'immagine di un vagone vuoto del treno, un'immagine direi più che familiare.
Mi sento già meglio!
In alto la cartella musica.
Ci vuole una canzone che dia un degno funerale all'mp3 e che dia nuova linfa al susseguirsi di una nuova e casuale compilation musicale. L'occhio cade subito su Halleluja di Leonard Cohen. Non esisite credo brano migliore per questo momento, dolce, intenso, sui suoi accordi sembrano cullarsi i ricordi di un viaggio, di un passato così vicino. Un brano che fa il vuoto intorno a se che non ammette intrusioni, dove l'accordo lascia presto spazio al vibrato gentile di una chitarra elettrica che lentamente si trasforma in un violoncello che detta l'ultima nota e che interminabile si lascia sfumare delicatamente nel silenzio chiudendo il sipario.
domenica 19 luglio 2009
Parte ventesima
Eccola la vedo sporgendomi all'infinito dal finestrino, la Toscana.
Manca poco, giusto un paio di curve qualche rettilineo e quella galleria infinita che segna brutalmente il confine tra le due regioni.
Beh, lo ammetto, è un'immagine abbastanza spietata, direi quindi non pensare alla follia umana quella che impone la sua esigenza di praticità e funzionalità sopra un panorama così dolce e disteso, meglio soffermarsi su ciò che non è stato ancora deturpato e annerito. L'attenzione, trasportata da questa fresca brezza che filtra dal finestrino del regionale, non abbandona quello che va sempre più delineandosi come un lento e armonico intreccio di terre. Emilia e Toscana sembrano sempre più dialogare trovando l'una dall'altra quel giustificato motivo per cui far nascere il proprio frutto, la propria esperienza su una sponda diversa.
Sono allo stesso tempo affascinato e disarmato da questa prova di infinito che la natura mi spara davanti agli occhi. Incredibile come parta da lontano il temerario e timido tentativo della natura di dare una forma comune al paesaggio.
Inizia con impercettibili sfumature, brevi impronte, che silenziosamente vanno dialogando in una trama sempre più indistinguibile per dar vita poi a una continuità che dura una attimo per poi lasciare che le strade trovino una propria espressione, il proprio nome, chissà forse il loro giustificato motivo.
Ogni tanto la stanchezza mi ricorda aimè che son sul treno, le gambe alla fine chiedono un pò di comprensione e mi sembra giusto concedere loro una decina di minuti di riposo, mi rimetto così seduto. La gente intorno mi sembra abbastanza pacifica, vive questa ora di viaggio con compostezza, ad ogni sosta non avvengono particolari scossoni anche perchè a fermate come Monzuno chi volete che scenda?
Direi che è il momento giusto di infilarsi nuovamente le cuffie nelle orecchie e far trascorrere i restanti quaranta minuti con un pò di brani che celebrino il rientro a Prato in gran trionfo. Mi accompagna De Gregori con Generale, uno dei pochi brani italiani nella mia limitata play-list, in cui a farla da padrone e la musicalità della voce inglese. Il tutto per una pura scelta del sottoscritto in versione disk-jockey che sacrifica spesso e volentieri la poesia di un testo, lasciando così che l'anima sia squarciata in due dalla vibrazione di una nota e non dalla portata del contenuto delle parole. Generale riesce a superare l'ostacolo del testo, le parole hanno una musicalità devastante con tonalità dolci e amare che si intrecciano tanto da non poter essere che raccolte.
Lentamente va a sfumare, ma non è solo il brano, e anche il mio MP3, maledizione!
E' un attimo perde di intensita, singhiozza, rallenta, si ferma il treno, no!
l'MP3, no!
o meglio sì!
ma cosa succede al treno!
non capisco!
siamo fermi!
Manca poco, giusto un paio di curve qualche rettilineo e quella galleria infinita che segna brutalmente il confine tra le due regioni.
Beh, lo ammetto, è un'immagine abbastanza spietata, direi quindi non pensare alla follia umana quella che impone la sua esigenza di praticità e funzionalità sopra un panorama così dolce e disteso, meglio soffermarsi su ciò che non è stato ancora deturpato e annerito. L'attenzione, trasportata da questa fresca brezza che filtra dal finestrino del regionale, non abbandona quello che va sempre più delineandosi come un lento e armonico intreccio di terre. Emilia e Toscana sembrano sempre più dialogare trovando l'una dall'altra quel giustificato motivo per cui far nascere il proprio frutto, la propria esperienza su una sponda diversa.
Sono allo stesso tempo affascinato e disarmato da questa prova di infinito che la natura mi spara davanti agli occhi. Incredibile come parta da lontano il temerario e timido tentativo della natura di dare una forma comune al paesaggio.
Inizia con impercettibili sfumature, brevi impronte, che silenziosamente vanno dialogando in una trama sempre più indistinguibile per dar vita poi a una continuità che dura una attimo per poi lasciare che le strade trovino una propria espressione, il proprio nome, chissà forse il loro giustificato motivo.
Ogni tanto la stanchezza mi ricorda aimè che son sul treno, le gambe alla fine chiedono un pò di comprensione e mi sembra giusto concedere loro una decina di minuti di riposo, mi rimetto così seduto. La gente intorno mi sembra abbastanza pacifica, vive questa ora di viaggio con compostezza, ad ogni sosta non avvengono particolari scossoni anche perchè a fermate come Monzuno chi volete che scenda?
Direi che è il momento giusto di infilarsi nuovamente le cuffie nelle orecchie e far trascorrere i restanti quaranta minuti con un pò di brani che celebrino il rientro a Prato in gran trionfo. Mi accompagna De Gregori con Generale, uno dei pochi brani italiani nella mia limitata play-list, in cui a farla da padrone e la musicalità della voce inglese. Il tutto per una pura scelta del sottoscritto in versione disk-jockey che sacrifica spesso e volentieri la poesia di un testo, lasciando così che l'anima sia squarciata in due dalla vibrazione di una nota e non dalla portata del contenuto delle parole. Generale riesce a superare l'ostacolo del testo, le parole hanno una musicalità devastante con tonalità dolci e amare che si intrecciano tanto da non poter essere che raccolte.
Lentamente va a sfumare, ma non è solo il brano, e anche il mio MP3, maledizione!
E' un attimo perde di intensita, singhiozza, rallenta, si ferma il treno, no!
l'MP3, no!
o meglio sì!
ma cosa succede al treno!
non capisco!
siamo fermi!
venerdì 22 maggio 2009
Parte diciannovesima
Questo è l'ultimo!
Sospiro dentro di me mentre mi imbarco sul regionale trascinato dalla musica e dalle valige.
Ottanta chilometri ed è fatta! Ancora un'oretta abbondante e questo calvario è finito.
Ad un tratto ho una sensazione stranissima seguita da un brivido. Sento quello suono stridulo della sirena che preannuncia il chiudersi delle porte della metro milanese.
Ho un sussulto Mi guardo intorno stranito e spaventato, è come se per una frazione incalcolabile di tempo non riuscissi a sentirmi in un luogo definito.
Sono sul treno per Prato o a Cairoli?
Possibile che quella canna di ieri sera abbia avuto il così detto effetto a scoppio ritardato?
Per qualche istante penso di poter dire di aver vissuto parallelamente in due luoghi diversi che han deciso di incontrarsi nella mia testa e che, se da un lato han reso reso ancor più evidente uno status di smarrimento prodotto da ore e chilometri di viaggio, dall'altro han voluto forse sottolineare quanto della mia vita passo ogni giorno aspettando l'invito a salire o a scendere senza averne il più delle volte un giustificato motivo per farlo, ma confidando semplicemente di trovarlo salendo sul prossimo vagone.
La verità forse è che son semplicemente stanco, e mi pare di potre dire di aver trovato nelle pieghe delle valige la conferma di tutto ciò nonchè nei primi borbottii del mio MP3 la cui batteria sembra cominciare a dare segni di resa.
Come se non bastasse il treno è carico di persone, si vede che l'effetto dei continui ritardi dei vari IC, regionali ed Eurostar di mezza Italia si riperqute esponenzialmente su quelli che han la temeraria audacia di partire in orario. Di cambiar treno e sperare di trovare una soluzione più comoda non se ne parla, la fortuna direi che non mi ha neanche sorriso per sbaglio. Comincio così a buttare l'occhio nel corridoio per cercare di intravedere uno di quegli sgabellini estraibili che ad ogni viaggio sono sottoposti a continue sollecitazioni ma sui quali personalmente ripongo grossa fiducia e stima. Nei inquadro subito uno nel bel mezzo del treno e con una inaspettata scaltrezza, dettata più che altro dal fortissimo desiderio di poggiare le chiappe su una superficie il più possibile stabile, mi lancio su di esso e lo conquisto.
Ci siamo, poso le valige introno a me e affacciandomi al finestrone del treno ammiro il lento incalzare dell'appennino tosco-emiliano con le sue infinite sfumature di verde. Anche se solo un regionale il treno sembra sfreggiare fiero e sicuro per la sua strada, le soste che incontra rappresentano solo un semplice passaggio di routine, una formalità. L'appennino è avvolgente, treno e rotaie si dissolvono fagocitati dai suoi dolci rilievi per poi riapparire per pochi istanti e di nuovo sparire. Questa sensazione di esserci per poi perdersi la sento incredibilmente mia, propria di un'animo che allo stesso tempo è ansioso di fondersi con la vita mentre dall'altro rivendica la propria immiscibilità, la sua natura innafferabile, come una particella di mercurio a contatto con l'aria.
Purple Rain accompagna questo momento di estasi e completa distensione di pensieri e immagini, un brano che forse in alcune occasioni andrebbe ascoltato chiudendo gli occhi ma che in questo momento non posso far altro che vivere con le palpebre spalancate lasciando che tanta bellezza e tanta armonia possa accompagnarmi il più a lungo possibile.
Le fatiche del viaggio si disperdono così, insieme a mille pensieri, ricordi, parole, sguardi, nel gesto della mia mano che si strofina sulla testa.
Sospiro dentro di me mentre mi imbarco sul regionale trascinato dalla musica e dalle valige.
Ottanta chilometri ed è fatta! Ancora un'oretta abbondante e questo calvario è finito.
Ad un tratto ho una sensazione stranissima seguita da un brivido. Sento quello suono stridulo della sirena che preannuncia il chiudersi delle porte della metro milanese.
Ho un sussulto Mi guardo intorno stranito e spaventato, è come se per una frazione incalcolabile di tempo non riuscissi a sentirmi in un luogo definito.
Sono sul treno per Prato o a Cairoli?
Possibile che quella canna di ieri sera abbia avuto il così detto effetto a scoppio ritardato?
Per qualche istante penso di poter dire di aver vissuto parallelamente in due luoghi diversi che han deciso di incontrarsi nella mia testa e che, se da un lato han reso reso ancor più evidente uno status di smarrimento prodotto da ore e chilometri di viaggio, dall'altro han voluto forse sottolineare quanto della mia vita passo ogni giorno aspettando l'invito a salire o a scendere senza averne il più delle volte un giustificato motivo per farlo, ma confidando semplicemente di trovarlo salendo sul prossimo vagone.
La verità forse è che son semplicemente stanco, e mi pare di potre dire di aver trovato nelle pieghe delle valige la conferma di tutto ciò nonchè nei primi borbottii del mio MP3 la cui batteria sembra cominciare a dare segni di resa.
Come se non bastasse il treno è carico di persone, si vede che l'effetto dei continui ritardi dei vari IC, regionali ed Eurostar di mezza Italia si riperqute esponenzialmente su quelli che han la temeraria audacia di partire in orario. Di cambiar treno e sperare di trovare una soluzione più comoda non se ne parla, la fortuna direi che non mi ha neanche sorriso per sbaglio. Comincio così a buttare l'occhio nel corridoio per cercare di intravedere uno di quegli sgabellini estraibili che ad ogni viaggio sono sottoposti a continue sollecitazioni ma sui quali personalmente ripongo grossa fiducia e stima. Nei inquadro subito uno nel bel mezzo del treno e con una inaspettata scaltrezza, dettata più che altro dal fortissimo desiderio di poggiare le chiappe su una superficie il più possibile stabile, mi lancio su di esso e lo conquisto.
Ci siamo, poso le valige introno a me e affacciandomi al finestrone del treno ammiro il lento incalzare dell'appennino tosco-emiliano con le sue infinite sfumature di verde. Anche se solo un regionale il treno sembra sfreggiare fiero e sicuro per la sua strada, le soste che incontra rappresentano solo un semplice passaggio di routine, una formalità. L'appennino è avvolgente, treno e rotaie si dissolvono fagocitati dai suoi dolci rilievi per poi riapparire per pochi istanti e di nuovo sparire. Questa sensazione di esserci per poi perdersi la sento incredibilmente mia, propria di un'animo che allo stesso tempo è ansioso di fondersi con la vita mentre dall'altro rivendica la propria immiscibilità, la sua natura innafferabile, come una particella di mercurio a contatto con l'aria.
Purple Rain accompagna questo momento di estasi e completa distensione di pensieri e immagini, un brano che forse in alcune occasioni andrebbe ascoltato chiudendo gli occhi ma che in questo momento non posso far altro che vivere con le palpebre spalancate lasciando che tanta bellezza e tanta armonia possa accompagnarmi il più a lungo possibile.
Le fatiche del viaggio si disperdono così, insieme a mille pensieri, ricordi, parole, sguardi, nel gesto della mia mano che si strofina sulla testa.
giovedì 26 marzo 2009
Parte diciottesima
Arrivo!
Ehm,..Partenza!
Chi lo sa, in un certo senso io dovrei essere l'unico in grado di dare la risposta esatta.
Mi immagino seduto su quella poltrona scomodissima del famigerato programma televisivo "il Milionario", faccia a faccia con me stesso. Mentre mi sorrido e compiaccio sbeffeggiandomi con quell'aria di falsa indifferenza, ogni tanto butto l'occhio sullo schermo dove a caratteri bene visibili lampeggiano le caselle: "arrivo - partenza".
Eccole lì, le prime e ultime due risposte ad un viaggio ricco di domande, di quesiti esistenziali, in cui a farla da padrone son stati i "se" i "ma" e i "forse".
Che siano solo due semplici parole in grado di sintetizzare una vita? La mia vita?
Ah, ci risiamo, un'altra domanda, ed io devo trovare una risposta, che incubo!
Sta di fatto che davanti a me c'è il regionale Bologna - Prato con le porte spalancate, pronto ad abbracciare me e le mie valige per questo ultimo viaggio, quest'ultima ora di passione. Neanche la statistica ha infatti la forza per insinuare un qualche remoto dubbio sulla possibilità che questa tratta non fili liscia fino alla destinazione toscana.
Ancora con il fiatone per l'estenuante corsa al binario mi giro come se stessi cercando qualcuno, il controllore, un pendolare, uno sguardo amico che mi rassereni che aiuti a gridare a me stesso la risposta della vita.
La realtà ancora una volta lascia spazio all'immaginazione e a quel faccia a faccia che, inesorabile, continua. Puntata storica diranno un giorno, chissà, sta di fatto che sono nel vivo di una partita a scacchi con me stesso e non devo perderla. Le mie mosse vengon replicate in maniera scientifica dall'altra parte della scacchiera, "arrivo e partenza" sembrano annullarsi a vicenda. Azzardare una risposta sarebbe come, liberare la regina e sacrificarla per puntare su alfieri e torre, rischiare di andare in scacco.
Sta di fatto che in scacco probabilmente mi ci trovo dall'inizio della partita e da quando ho avuto la presunzione di poter dare un contorno ad una vita che di cornici non ne vuol sentir parlare.
Arrivo - Partenza, nienete altro che parole ammaccate e ammuffite dietro sguardi misteriosi e vaniscenti che hanno avuto però la forza di uscire allo scoperto e mostrarsi nella loro diametrale opposizione, che da sempre si intrecciano perdendo i propri contorni, convinte che esista un giustificato motivo che le faccia vivere insieme accettandone le diverse sfumature.
Esco dalla sala del Milonario, non faccio caso al mormorio del pubblico che ansioso aspettava accendessi una delle due risposte. Nessuna delle due è quella giusta e nessuna delle due è errata.
Rientro nel mondo reale, salgo su quest'ultimo treno, metto le cuffie e do spazio a Bohemian Rhapsody dei Queen, lasciando che con la sua folle ritmica si prenda gioco di questo mio momento di empasse, ma che probabilmente come nessun'altra canzone riesce a dipingere al meglio questa sorta di contrasto esistenziale che mi avvolge e mi accompagna su qualsiasi treno decida di salire.
Ehm,..Partenza!
Chi lo sa, in un certo senso io dovrei essere l'unico in grado di dare la risposta esatta.
Mi immagino seduto su quella poltrona scomodissima del famigerato programma televisivo "il Milionario", faccia a faccia con me stesso. Mentre mi sorrido e compiaccio sbeffeggiandomi con quell'aria di falsa indifferenza, ogni tanto butto l'occhio sullo schermo dove a caratteri bene visibili lampeggiano le caselle: "arrivo - partenza".
Eccole lì, le prime e ultime due risposte ad un viaggio ricco di domande, di quesiti esistenziali, in cui a farla da padrone son stati i "se" i "ma" e i "forse".
Che siano solo due semplici parole in grado di sintetizzare una vita? La mia vita?
Ah, ci risiamo, un'altra domanda, ed io devo trovare una risposta, che incubo!
Sta di fatto che davanti a me c'è il regionale Bologna - Prato con le porte spalancate, pronto ad abbracciare me e le mie valige per questo ultimo viaggio, quest'ultima ora di passione. Neanche la statistica ha infatti la forza per insinuare un qualche remoto dubbio sulla possibilità che questa tratta non fili liscia fino alla destinazione toscana.
Ancora con il fiatone per l'estenuante corsa al binario mi giro come se stessi cercando qualcuno, il controllore, un pendolare, uno sguardo amico che mi rassereni che aiuti a gridare a me stesso la risposta della vita.
La realtà ancora una volta lascia spazio all'immaginazione e a quel faccia a faccia che, inesorabile, continua. Puntata storica diranno un giorno, chissà, sta di fatto che sono nel vivo di una partita a scacchi con me stesso e non devo perderla. Le mie mosse vengon replicate in maniera scientifica dall'altra parte della scacchiera, "arrivo e partenza" sembrano annullarsi a vicenda. Azzardare una risposta sarebbe come, liberare la regina e sacrificarla per puntare su alfieri e torre, rischiare di andare in scacco.
Sta di fatto che in scacco probabilmente mi ci trovo dall'inizio della partita e da quando ho avuto la presunzione di poter dare un contorno ad una vita che di cornici non ne vuol sentir parlare.
Arrivo - Partenza, nienete altro che parole ammaccate e ammuffite dietro sguardi misteriosi e vaniscenti che hanno avuto però la forza di uscire allo scoperto e mostrarsi nella loro diametrale opposizione, che da sempre si intrecciano perdendo i propri contorni, convinte che esista un giustificato motivo che le faccia vivere insieme accettandone le diverse sfumature.
Esco dalla sala del Milonario, non faccio caso al mormorio del pubblico che ansioso aspettava accendessi una delle due risposte. Nessuna delle due è quella giusta e nessuna delle due è errata.
Rientro nel mondo reale, salgo su quest'ultimo treno, metto le cuffie e do spazio a Bohemian Rhapsody dei Queen, lasciando che con la sua folle ritmica si prenda gioco di questo mio momento di empasse, ma che probabilmente come nessun'altra canzone riesce a dipingere al meglio questa sorta di contrasto esistenziale che mi avvolge e mi accompagna su qualsiasi treno decida di salire.
domenica 1 febbraio 2009
Parte diciassettesima
Si ricomincia!, giù per le scale proprio lì, sulla destra.
Permesso! Permesso! cerco con garbo di districarmi tra la folla viaggiante, anche se dentro di me alberga uno sfrenato desiderio di entrare di prepotenza lungo quella scia che va delineadosi nella mia mente, statisticamente approvata come il miglior tragitto possibile, ottimizzante sia in termini di tempo che di spazio che di risorse psico-idriche sprecande. Schivo, volteggio, con fare maldestro dò vita a movimenti eleganti come se stessi improvvisando un passo alla Frank Sinatra sulle note di New York New York. Il pubblico ancora una volta non pagante mi volge occhiate di scherno, cui non posso dar risposta, fortunatamente ho con me le valige che mi aiutano a mantenere un certo equilibrio, che nel mio caso somiglia forse più ad una vertgine distratta.
Salto gli ultimi due scalini con scioltezza e via!
Inizia il tunnel, si insomma il sottopassaggio.
Sinistra, destra dove vado adesso!
Quale corrente scegliere. questa volta non c'è veramente tempo nè per metafisiche nè per lanci di monetine o ricordi del passato, mi lascio guidare dall'istinto....e guarda un po'! ancora una volta mi porta a sinistra. Mentre mi involo, quello spirito razionale per un attimo assecondato e probabilmente per questo indispettito, tenta di rallentare la mia corsa, così che possa buttar l'occhio su cartelloni, tabelloni, sperando di strappare quella conferma di aver intrapreso il percorso giusto. Il passo rallenta si, ma rimane pur sempre incalzante. Ho fino ad adesso affrontato il viaggio facendo si che l'emotività di un momento trovasse modo per fondersi entro un sistema di giustificazioni possibili, razionalmente spiegabili, di cui alla fine risultava chiaro solo la loro etrena circolarità e il loro strenuo tenatativo di rispondere all'anima di un eco infinito. E' tempo di cambiare, beh diciamo almeno di provarci, quasi quasi lo chiamo crescere così mi sembra meno pesante. Mantengo una falcata sostenuta sono a metà sottopassagio, o meglio a metà della parte sinistra, in fondo cìè l'arrivo o la partenza, dipende dai punti di vista e il mio in questo caso non è proprio in grado di darne una chiara ed onesta identificazione. L'unica certezza che palesa nella mia mente è che non devo araggiungere la fine del sottopassaggio, devo fermarmi, devo svoltare, destra, sinistra,...chi può dirlo...forse il tabellone lì in fondo.
Scatto, un centrometrista nato, direbbe il mio allenatore di bocce. Ho scelto di non arrestare la corsa, quindi giusto un'occhiatina di sfuggita, e come va, va. Mal che vada svolto a caso e agguanto il traguardo. Cinque metri, quattro, tre, due, uno. E' un lampo, un sospiro, concentri tutto te stesso in quell'attimo, il cuore pompa sangue tanto da farti bruciare le vene, il tuo sguardo si assottiglia come a catturare ogni singola sfumatura dell'aria, non esiste niente intorno, solo tu e una risposta. Cercarla è inutile, ormai serve sentirla, e sei già passato. Non puoi chiederti cosa hai visto, porti con te la responsabilità di aver seguito l'istinto, di aver dato retta allo sfuggente brillare di un nome, forse riprodotto su un insegna artificiale di un sottopassagio frenetico di una stazione labirintica, ma per la prima volta impresso su un sorriso che va allargandosi mentre sali le scale di un nuovo binario.
Permesso! Permesso! cerco con garbo di districarmi tra la folla viaggiante, anche se dentro di me alberga uno sfrenato desiderio di entrare di prepotenza lungo quella scia che va delineadosi nella mia mente, statisticamente approvata come il miglior tragitto possibile, ottimizzante sia in termini di tempo che di spazio che di risorse psico-idriche sprecande. Schivo, volteggio, con fare maldestro dò vita a movimenti eleganti come se stessi improvvisando un passo alla Frank Sinatra sulle note di New York New York. Il pubblico ancora una volta non pagante mi volge occhiate di scherno, cui non posso dar risposta, fortunatamente ho con me le valige che mi aiutano a mantenere un certo equilibrio, che nel mio caso somiglia forse più ad una vertgine distratta.
Salto gli ultimi due scalini con scioltezza e via!
Inizia il tunnel, si insomma il sottopassaggio.
Sinistra, destra dove vado adesso!
Quale corrente scegliere. questa volta non c'è veramente tempo nè per metafisiche nè per lanci di monetine o ricordi del passato, mi lascio guidare dall'istinto....e guarda un po'! ancora una volta mi porta a sinistra. Mentre mi involo, quello spirito razionale per un attimo assecondato e probabilmente per questo indispettito, tenta di rallentare la mia corsa, così che possa buttar l'occhio su cartelloni, tabelloni, sperando di strappare quella conferma di aver intrapreso il percorso giusto. Il passo rallenta si, ma rimane pur sempre incalzante. Ho fino ad adesso affrontato il viaggio facendo si che l'emotività di un momento trovasse modo per fondersi entro un sistema di giustificazioni possibili, razionalmente spiegabili, di cui alla fine risultava chiaro solo la loro etrena circolarità e il loro strenuo tenatativo di rispondere all'anima di un eco infinito. E' tempo di cambiare, beh diciamo almeno di provarci, quasi quasi lo chiamo crescere così mi sembra meno pesante. Mantengo una falcata sostenuta sono a metà sottopassagio, o meglio a metà della parte sinistra, in fondo cìè l'arrivo o la partenza, dipende dai punti di vista e il mio in questo caso non è proprio in grado di darne una chiara ed onesta identificazione. L'unica certezza che palesa nella mia mente è che non devo araggiungere la fine del sottopassaggio, devo fermarmi, devo svoltare, destra, sinistra,...chi può dirlo...forse il tabellone lì in fondo.
Scatto, un centrometrista nato, direbbe il mio allenatore di bocce. Ho scelto di non arrestare la corsa, quindi giusto un'occhiatina di sfuggita, e come va, va. Mal che vada svolto a caso e agguanto il traguardo. Cinque metri, quattro, tre, due, uno. E' un lampo, un sospiro, concentri tutto te stesso in quell'attimo, il cuore pompa sangue tanto da farti bruciare le vene, il tuo sguardo si assottiglia come a catturare ogni singola sfumatura dell'aria, non esiste niente intorno, solo tu e una risposta. Cercarla è inutile, ormai serve sentirla, e sei già passato. Non puoi chiederti cosa hai visto, porti con te la responsabilità di aver seguito l'istinto, di aver dato retta allo sfuggente brillare di un nome, forse riprodotto su un insegna artificiale di un sottopassagio frenetico di una stazione labirintica, ma per la prima volta impresso su un sorriso che va allargandosi mentre sali le scale di un nuovo binario.
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